La biblioteca, ricca di 2940 titoli e 123 testate di riviste, offre una chiara immagine non solo degli interessi di studio e delle preferenze personali, ma insieme della articolata identità culturale di una stagione vivace che Donata Devoti ha intellettualmente condiviso.
Se ovvia è la consistente preponderanza di testi di argomento storico artistico – e non solo relativi alle arti applicate – particolarmente significativa è anche la presenza di testi di filosofia, storia, scienze sociali, economia e linguistica, con opere che hanno segnato un’epoca, come Dialettica dell’Illuminismo di Horkheimer e Adorno, La scoperta della libertà di Jean Starobinski, e Introduzione al secondo corso di linguistica generale di Ferdinand de Saussure, o autori seguiti con continuità, come Roland Barthes, con Elementi di semiologia, Critica e verità, Il piacere del testo e La camera chiara: nota sulla fotografia, un tema quest’ultimo che la vedeva sensibile sia da un punto di vista storico-critico, sia da quello della pratica tecnica, non solo per passione privata ma anche come responsabile pro tempore del Laboratorio attivo presso l’allora Istituto di Storia dell’Arte dell’Università.
Non meno significativi in questa geografia culturale i volumi che emergono o per rarità, come ad esempio Die grossherrliche Tughra: ein Beitrag zur Geschichte des osmanischen Urkundenwesens di Franz Babinger – specchio della sua attenzione per l’aspetto formale della calligrafia islamica – o per qualità fisica, come Arte e materie plastiche del 1975, di cui è parte integrante il contenitore in plexiglass progettato da A.G. Fronzoni, designer da lei particolarmente apprezzato e chiamato poco tempo prima a curare l’arredo e l’immagine coordinata della sede dello stesso Istituto di Storia dell’Arte.
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